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Dio del cielo. Non voglio nemmeno nemmeno immaginare che tipo di sedicenne potrei essere oggi, nel 2015. E se non mi piacesse leggere? Se non mi piacesse il calcio? Se non fossi quello che sono (anche se spesso mi spaccherei la faccia da sola) che non è poi così male voltandosi ormai senza vergogna a ricordare quegli anni? Fortunatamente ho questa visione romantica della vita (di un mondo ideale e che evidentemente esiste solo nella mia testa) per cui penso che ognuno vive la propria epoca, cresce in determinati anni che sa la madonna perché ma è così e tocca accontentarsi, così io avevo 16 anni nei primi anni ’90 e niente, li ho vissuti.
Che poi questa frase mi scappò fuori a una cena con le amiche. Non ricordo proprio di cosa stavamo parlando, forse davvero dei sedici anni, e con “sedici anni” intendevamo tutto quel lasso di tempo in cui ci sentivamo inadatte e sbagliate e che abbiamo arrotondato a quell’età lì, ai “sedici anni”, ma potevano essere benissimo anche i diciassette e i diciotto. Comunque. A un certo punto dissi: “Io non ho mai avuto sedici anni”. Poi spiegai che sì, anagraficamente li ho attraversati, ma non mi sono mai sentita una sedicenne. Voglio dire, a tredici anni leggevo Leopardi e mi interrogavo sul perché della vita, giocavo a pallone, e disegnavo quando non dovevo studiare, vita sociale pochissima, di riflesso da mia sorella o i figli degli amici dei miei, quindi una disadattata. Figurarsi a sedici cosa potevo essere. Che poi sarà che con il tempo si diventa indulgenti o ci si rincretinisce, ma se ripenso ad allora, a parte la morte del nonno, i miei primi anni tra ginnasio e poi liceo artistico non sono stati poi così brutti. Insomma, diciamo che, a differenza delle amiche, avevo la camera tappezzata di poster del Milan e quegli anni lì, degli Invincibili, sti cazzi se non me li sono goduti; praticamente saltavo scuola che era un piacere, dietro al Milan che giocava a Marsiglia, a Brugges, a Monaco, in giro per l’Europa e io con i tifosi rossoneri, come l’anno della maturità che ti facevano terrorismo psicologico sul non fare puffi e io fregandomene bellamente me ne scappai quattro giorni ad Atene a guardarmi la finale di Coppa Campioni, QUELLA finale, Milan – Barcellona 4 – 0, QUELLA. Certo, anche il funerale di Freddy Mercury nei corridoi del liceo fu divertente, con la bidella che si faceva il segno della croce e la vice preside, santa donna, che aveva acconsentito a una roba del genere, o la Gollini a Non è la rai. Magari ero atipica, o forse semplicemente me stessa, cosa pericolosissima a quell’età, con tanta paura e molta poca autostima, smussata nel tempo, certo è che se mi fossi posta meno domande alle quali ancora oggi non ho trovato risposta, che a saperlo allora, me li sarei goduti ancora di più. Che poi se ripenso anche alle letture di quegli anni, gesù, poi dopo uno ci credo che cresce così. In fondo le letture erano purtroppo quelle derivanti dagli anni dei miei, ci facevano crescere con quell’educazione lì, non tutto da buttare chiaro ma non so, con quel retrogusto da Democrazia Cristiana che è come quando ti svegli quando hai fumato l’ultima sigaretta senza lavarti i denti, con una fiatella che resusciteresti anche un morto, tipo Andreotti, e di un vecchiume che in confronto oggi è tutto un altro mondo. Insomma, Il diario di Gian Burrasca, Vanda Bontà con Signorinette, Violetta la timida con il sequel Le straordinarie vacanze di Violetta e poi certo, minacciando i miei che a carnevale da fatina non volevo vestirmi e con anni nei quali si sono succeduti travestimenti da cow – boy, Capitan Harlock, paninara, robe così, leggevo anche roba da maschietti, Mark Twain, Robert Louis Stevenson e Jack London, i classici per ragazzi diciamo, in quelle edizioni poi della Mursia cartonate e con la copertina che era sempre illustrata, anche se Signorinette, ragazzi, quando scoprii il film in bianco e nero di fine anni ’60, porca troia, che vecchiume. Voglio dire, ci facevano crescere con film come Marcellino, pane e vino: di cosa stiamo parlando? Anche se spezzo una lancia nel ricordare l’ora di religione in IV ginnasio perché ci facevano sempre vedere i film e io adoravo guardare i film tra una lezione di latino e greco. Ho sempre pensato di essere stata molto fortunata con gli insegnanti, sorvolando ampiamente sulle suore (vi capita mai quando dici che hai fatto asilo, elementari e medie dalle suore la gente ancora oggi come ti guarda? Con quel misto di disgusto e pena come se trovassero magicamente la risposta al vostro essere cresciuti tipo tarati), gente appassionata che ti trasmetteva la materia con amore. Persino matematica, e un anno arrivò questa giovane donna un po’ tamugna e con i capelli corti che, dopo anni di suore, è la prima cosa che pensi che sia, cioè una suora, dunque priva di qualunque sentimento che non sia pregare a ogni ora del giorno e della sera e incapace totalmente di comprendere qualunque cosa, al liceo artistico, che insegnava quei numeri e quelle formule con un trasporto tale che non sembrava nemmeno matematica. Comunque, ora di religione al ginnasio. Il prete era un tipo giovane e una volta ci fece vedere questo film che parlava di eutanasia, un film nel quale per altro il protagonista lo fanno morire e con un prete che appoggia la decisione (!!!). Cosa vuoi capire a sedici anni che ti senti immortale? Eppure, a pensarci oggi, sti cazzi che coraggio. L’anno dopo questo prete non c’era più a scuola; pensai che va be’, doveva far crescere per bene altri ragazzini, che era bravo. Oggi penso solo che appena saputa la cosa (perché si è saputa) lo abbiano radiato all’albo dei preti e buttato nel buco degli spartani spedendolo all’inferno senza passare dal via.
Comunque. Dicevamo?
Ah sì. I libri che chiederei se avessi oggi sedici anni. Per altro non so perché stia facendo queste letture adesso, però le sto facendo e sa la madonna se sia uno di quei segni nella vita che devi cogliere e che ovviamente non cogli subito, o sarà che tutte le tue amiche stanno filiando e questi bambini ti crescono così in fretta che te li ritrovi al Titilla come ridere e poi ti ricordi quanti anni compi quell’anno e ti viene un colpo, ‘che ti senti sempre così giovane a parte qualche acciacco e hai l’illusione che sarai diversa dai tuoi genitori per poi guardarti la mattina allo specchio e la faccia di tua madre è magicamente la tua, il che mi sorprende sempre e la reputo una buona cosa, intanto perché fuga ogni dubbio al mio essere stata adottata e nonostante il mio essere trasandata e aver sempre pensato che mia sorella fosse la sua perfetta copia, non è proprio così, e ho qualcosa di lei che mai e poi mai avrei creduto di avere.
Dicevamo. I libri dei sedici anni. Eccoli or dunque.
“Mi piaci così” di Francesco Gungui. Io ho l’edizione Oscar Mondadori, poi be’.
Molto, molto, molto piacevole. Diciamo la verità, quantomeno la mia. Bello, bello, bello. Davvero bello. Non aspettiamoci il grande romanzo americano ovviamente, ma per essere un romanzo estivo (se poi questo aggettivo significa qualcosa in fatto di discriminazione) è tra i più belli. Leggero, fresco e ironico, racconta di Alice e, semplicemente, dei suoi 16 anni e la vacanza forzata in Puglia in campeggio con i genitori e il fratello tredicenne rea la freschissima bocciatura al liceo invece di spassarsela con le amiche da sola in Sardegna.
Ve li ricordate i vostri sedici anni? O almeno alcune cose. Vi ricordate di quando avevate il coprifuoco con i genitori? Vi ricordate le prime cotte e il dramma di quello che significava? E vi ricordate come una bocciatura fosse l’unica preoccupazione che si potesse avere a quell’età, oltre alla prima accettazione sociale, ai brufoli e alle Mandarina Duck o gli Invicta che già sembravano da alternativi?
Per me la lettura di questo romanzo è stata una ventata d’aria fresca. Non ho più sedici anni da un pezzo e quasi faccio fatica a ricordarmeli interamente purtroppo, ma questo bel libro di 300 passa pagine ti fa ricatapultare immediatamente in quella realtà. Se avessi oggi sedici anni, sarebbe il libro che vorrei leggere per capire chi sono e cosa voglio. Perché in fondo è anche questo che ti domandi a quell’età.
Alice è la classica ragazzina che pensa di non essere nessuno, sfigata, con le tette piccole e il culo grosso e che poi invece scopre di essere quella di cui tutti si ricordano, che poi è un po’ come ci siamo sentite tutte. Gli stereotipi ci sono tutti, dalla dea dalle ancelle dietro cioè la figa della scuola che diventa naturalmente una sua amica (con sorpresissima finale che spiazza) al migliore amico che è un ex ma che non è ben chiaro fino a che punto sia tale. E poi i problemi con i genitori, il fratello tredicenne, i nonni, i limoncelli con la mamma al bar del campeggio. A me sembra un’altra vita eppure le sensazioni sono le stesse. Così mi domando, oggi che i sedicenni per me sono come gli alieni, se alla fine tutto non si riduca al fatto che i sedici anni sono uguali in tutte le generazioni. O almeno quelli che avevano sedici anni nel 2008 quando è uscito questo romanzo, quando si usava ancora Messenger di Msn, il wifi non era ancora entrato in modo scontato nelle case degli italiani, si usavano ancora gli internet point e avere un blog come i protagonisti del libro era una roba da giovani. A me ha fatto tenerezza, pensarmi nel 2008 che già non avevo sedici anni da mò ma nemmeno quaranta come adesso, a ricordarmi il lento e graduale abituarsi all’uso della tecnologia, ma soprattutto una storia che può essere quella di tutte. Certo, in confronto a Hunger Games dei nuovi sedicenni del 2015 (per arrotondare a un anno tipo zero che è di una crudeltà che si fatica a crederlo, ma di una crudeltà che io me lo domando cosa provino i nuovi sedicenni, e trovare in Katniss l’eroina in quel futuro distopico lì, non promette nulla di buono e cioè che siamo messi malino come prospettive), questo romanzo di formazione ha lo stesso sapore dei nostri Goonies, il bene che sconfigge il male però con quella sensazione da pop corn dove più che altro il futuro, qualunque esso sia, è possibile, e persino Twilight ha un’idea romantica di vampiri che lo capisci perché i sedicenni dell’epoca lo adoravano.
Insomma, sorprendente, divertente, scritto tra l’altro bene, sarcastico e vero. Estivo solo per ambientazione ma per tutte le stagioni e per tutti quei sedicenni che hanno sogni e anche poca autostima, questo “Mi piaci così” fa un vallo. Anche se, se proprio vogliamo trovare una cosa per cui mettere i puntini sulle i, ecco, essendo la protagonista Alice, una ragazza sedicenne, non viene mai tirata fuori la “faccenda mestruazioni” che, se vi ricordate bene, coincidevano o comunque condizionavano vacanze ed eventi; insomma, suppongo accada ancora a tutte che il ciclo e l’ironia della vita ci prendano in giro della serie una settimana di ferie e ciclo e pioggia insieme. Ecco. Certo, ai fini della storia la “faccenda mestruazioni” non serve a nulla, però essendo l’autore un maschio ci sta che non abbia idea cosa significhi avere il ciclo e comunque è stato bravo a raccontare Alice, per cui anche se io me lo sono domandato, insomma, chi se ne frega.
“Almeno il cane è un tipo a posto” di Lorenza Ghinelli, per Rizzoli.
Volevo scriverci un intero articolo su questo libro, poi avrei detto delle castronerie pazzesche e così, mi limito a poche righe costruendo il mio solito articolo dal titolo mistificante cacciandoci dentro qualcosa dei miei ricordi.
Una PERLA, questo libro è una perla.
Un libro della madonna, così prezioso che questo mi avrebbe aiutato molto di più di quello di cui sopra, o almeno insieme figata.
Lorenza con leggerezza (che non significa superficialità) tratta i temi cari con un’ironia rara. Rispetto ai suoi primi libri nei quali tuttavia gli argomenti sono gli stessi (e cioè ragazzini nel difficile tentativo di crescere, di capirsi e di farsi capire dagli adulti, di non sentirsi sbagliati, che lo so è molto di più e scritta così è troppo riduttivo) ma trattati come un pugno nello stomaco, in questo il pugno allo stomaco non c’è, o meglio, è peggio, nella misura in cui il libro è così potente che a fine lettura pensi e delle domande te le poni. Anche se lo chiudi e sei eccitato dalla lettura, hai il sorriso, e ne avresti voluto ancora di più: uno di quei libri che ti mancano quando lo finisci.
Ma le domande te le fai, le vocine dei tanti personaggi ti rimangono in testa e quasi che vorresti vederli crescere per leggere come diventano, anche se con un po’ d’immaginazione ci riesci.
A voi capita mai? Capita mai che ti innamori così tanto dei personaggi che li senti reali e ti immagini come diventeranno, chi diventeranno? Tipo un mio alunno nel corso a Gatteo, un bimbo che va al cinema con i genitori e appena torna a casa riprende e disegna, nelle possibilità artistiche di un bambino novenne, i personaggi e costruisce una sua storia, cambia magari quello che non gli è piaciuto e si perde nel suo mondo. Quando la madre mi ha descritto così suo figlio, per prima cosa ho detto che lo volevo anche se era fuori età e poi ho avuto paura, perché ero così anche io… E ti rendi conto della responsabilità, del peso nel far capire a questo bimbo che non è una cosa sbagliata questo suo mondo, che lui non è sbagliato, che devo coltivarlo anche se è dura perché gli altri ti prendono in giro, che se lo conserva gelosamente un giorno avrà una poesia nell’osservare il mondo che gli altri, proprio quelli che lo deridevano, perderanno e saranno grigi e lui ancora felicemente a colori. E mi sento come quando guardi un chimico che in cose astratte vede robe pazzesche o un entomologo che gli brillano gli occhi nello studiare insetti che a te fanno di uno schifo infinito, mi sento fortunata nell’aver ricevuto un gran regalo, di poter prendere per tempo questo suo mondo e quantomeno provare a infondergli quella fiducia che troppo spesso gli adulti non danno.
Ecco, il libro di Lorenza ha questo potere..
E spero con tutto il cuore che Lorenza Ghinelli continui a regalarci libri come questo e quelli che ha scritto finora, perché rientra di diritto nella più Alta Narrativa Italiana senza lasciarci soverchiare da inutili dettagli di genere tra narrativa da adulti o da ragazzi (definita persino di serie B), è Narrativa Alta di una Qualità che io chiamo speranza, dell’entrare in una libreria e spendere quindici, venti euro ma spenderli proprio bene trovandosi in mano gemme come questo.
Scritto con uno stile impeccabile e asciutto, l’evoluzione e la crescita di Lorenza è impressionante e risulta affascinante agli occhi di chi mastica quotidianamente il mondo dell’Arte; il percorso artistico di Lorenza è strabiliante e mi ricorda tanto quel percorso che ha ognuno di noi ha, a modo suo, e per me nel mio caso alla Gianni De Luca: dove diavolo sarebbe arrivato quell’uomo se non ci avesse lasciato così presto? A che livello celestiale avremmo potuto ammirare la sua Arte, quella stessa che oggi mi manca così infinitamente tanto?
Ho letto praticamente tutte le recensioni e ho ascoltato quasi tutte le interviste radio; e mi piacerebbe dire che quasi tutti non hanno esattamente capito di cosa trattava il libro, perché è molto, molto di più di quello che si legge in giro.
E un consiglio per una volta, ve lo darei.
Non leggete le recensioni e fate un favore a voi stessi, ai vostri figli se ne avete o anche solo al ricordo dei vostri sedici anni, ai ragazzini che eravate. Fatevi un regalo, ma proprio grosso: andate in libreria, compratelo e leggetelo immediatamente, voi soli, trovate il tempo per dedicare la giusta attenzione a questa perla.
Il giorno dopo averlo finito avrete una carica e una prospettiva e uno stimolo a migliorarvi ancora, e sarete incomprensibilmente felici. E forse un po’ più indulgenti nei confronti di quei ragazzini sparuti e incompresi che oggi sono quarantenni dagli occhi un po’ spenti, e vi torneranno per qualche attimo quegli occhi cristallini che pensavate di aver perso.
LIBRO DELLA MADONNA. E forse telefonata per concludere, ma Lorenza Ghinelli è proprio una tipo a posto.
Allora la chiudo alla Mabel Morri, visto che riesco a parlare di qualunque cosa cacciandoci dentro il calcio, questa volta prendo a piene mani quello che ormai è lo slogan di Flavio Tranquillo, telecronista Sky di basket, parafrasandolo: E se non vi piace questa roba, non sono sicuro di volervi conoscere.
“Orgoglio e pregiudizio” di Jane Austen.
Jane Austen nei secoli (che fa ridere ma in effetti almeno uno è proprio passato in toto) è diventata tipo un personaggio alla Steve Jobs, quell’aura di leggendarietà esaltandone la grandezza che ormai fa quasi il giro.
Farlo rientrare in questa tipo classifica è più un regalo a me stessa e a quella ragazzina romantica che ero; che poi non è che non lo sia più, ma è un romanticismo trasformato, diciamo così. Certo, che volete? Lo lessi tra un’Eneide e un Apuleio, tra un Platone e un Sofocle, avevo bisogno di altro. Certo, poi tornai a Proust, alle affinità elettive e ai dolori del giovane Werther, a Goethe, Rilke, Kierkegaard e compagnia bella, con questa idea che si sviluppò in me in quegli anni, per cui mi immaginavo quel periodo eleggendolo a mia epoca perfetta, nella quale potevo essere capita, compresa, sorvolando sul fatto che, volendo vivere una vita simile, avrei dovuto essere ricca sfondata e concedermi il lusso di avere così tanto tempo a disposizione da impiegarlo nell’investigare le parti recondite dell’anima e poi certo sarei stata data in sposa a uno facoltoso e probabilmente mi sarei ammazzata come Virginia Wolf. Ecco perché dico che ognuno nasce e cresce in un’epoca sua che non si sa chi abbia deciso, ma Dio o qualunque cosa ci sia lassù, grazie al cielo sono nata in questa, in tempo per vedere il calcio femminile in televisione e l’emancipazione femminile e una battaglia di diritti che possa combattere ed esserne parte, se ho voglia, integrante.
Adesso io ho bisogno di capire perché il vicino di casa con tutta la settimana nella quale il suo rumore più grande è abbassare le tapparelle la sera, debba segare il legno alle 8 di domenica mattina. Ma in chiesa come tutti i cristiani no? O vai nel borgo tipo da Vecchi a leggere il giornale. Che se fossi stata in quell’epoca chissà, sarei scesa da casa strisciando il vestito nel fango fino alla stalla chiedendo cortesemente di farla finita con il linguaggio forbito di allora, tipo “Buongiorno Signor … Mi scusi vossignoria se le chiedo se potesse per cortesia sa la madonna super cazzola come se fossi Antani. Le auguro una lieta e bellissima giornata.” Gesù.
Comunque, Jane Austen.
Ne scrivono tesi di laurea, le dedicano titoli di libri (Jane Austen book club di Karen Joy Fowler, spensierato e gradevole da cui è stato tratto anche un film dalla regia televisiva ma altrettanto piacevole), Hellen Fielding e la sua Bridget Jones ci ha costruito il suo successo e fa parte di quella narrativa definita per donne. Non fa ribrezzo vederlo scritto sulle fascette dei libri? O anche solo quella sensazione per cui se compri quel libro fai parte di una specie non particolarmente protetta ma decisamente sottovalutata?
Certo, il tema è quello che fa specie che venga ancora inculcato nella testa delle bambine oggi, negli anni duemiladieci, e cioè il matrimonio e il marito che ti mantiene, però dì, ha sempre un suo fascino fuori tempo la storia d’amore tra Mister Darcy ed Elizabeth Benneth, sarà che lei era così moderna, sarà che era così indipendente e spavalda rimanendo pur sempre in quell’epoca romantica di cui sopra, forse un’avanguardista che cade nella trappola del mi verrebbe da dire fuorigioco e invece è matrimonio. Però poi pensi alla tua vita e ci sta, fisiologicamente che metti su famiglia con la persona che ami, uomo o donna che sia.
Di Darcy e Lizzy lo sa anche mio nipote che ha appena compiuto due mesi, povera stella, quindi è inutile tediarvi con quello che racconta, ma Jane Austen è Jane Austen.
Certo è che mi ritrovo più a mio agio adesso nei quaranta a sentirmi sedicenne che non quando effettivamente li avevo. E sapete la cosa bella? E’ un mondo, e ho tanti altri libri da leggere, belli belli belli.
Spero.
‘Che con questi qui sotto ho dato, contentissima di averlo fatto, ma anche basta.
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L'articolo tre libri che chiederei in regalo ai miei genitori se avessi oggi sedici anni (ma che naturalmente avrei scoperto tardi e che comunque non avrei letto a quell’età) sembra essere il primo su Una parte di cielo • Il blog di Mabel Morri.